Se fue de Argentina a los 19 años a cumplir un sueño. Jugó para Italia 119 partidos e integró los mejores equipos de Europa. Puso el cuerpo hasta los límites, igual que la pasión por su deporte. Dejó un legado de amistad y compromiso hacia sus compañeros en todas las camisetas que vistió. Es argentino y de Italia, sus amigos lo llaman Castro.

fonte: Rugbychampagneweb

Ci sono luoghi del Sud America dai quali non è facile uscire. In alcuni casi è un limite fisico, in altri mentale. Paraná, in Argentina, è uno di questi. A dieci ore di guida da Buenos Aires, con poche risorse a disposizione, un giovane ragazzo argentino di sangue mezzo italiano faceva le sue prime partite di rugby con l’Estudiantes de Paraná, la squadra locale. Vent’anni dopo, lo stesso ragazzo poteva vantare 119 caps in 14 anni con la nazionale italiana, 10,000 minuti di club rugby, 6,000 minuti di rugby internazionale, e una carriera splendida condita da svariate Premiership e Heineken Cup. Questo ragazzo era Martin Castrogiovanni, uno dei piloni più rinomati della storia rugbistica europea recente. Dal suo esordio nel 2002 nientemeno che contro gli All Blacks a casa loro, fino alla sua ultima partita in azzurro contro il Galles nel 2016. Un contributo enorme, una vera e propria legacy, che lo ha reso un’icona del rugby italiano e il volto di quell’Italia che, appena entrata nel Sei Nazioni, doveva provare a fare la voce grossa per mantenere alta la reputazione. Tutto questo è stato recentemente messo in discussione a causa di un’intervista rilasciata dal giocatore, nella quale racconta la sua vita in Argentina prima del rugby internazionale con l’Italia. Quasi con nonchalance, Castro afferma che la sua discendenza italiana deriva dal bisnonno Angel. E qui sta l’inghippo, perché per World Rugby è solo fino ai nonni che si può risalire per naturalizzare un giocatore. Per l’Italia come nazione, però, anche i bisnonni vanno bene. Si è creato dunque un caso mediatico, un vero e proprio polverone, che ha scatenato gli esperti legali di Twitter nonché i leoni da tastiera, increduli di fronte a questa inaspettata possibilità di dimostrare che anche l’Italia gioca sporco ed equipara atleti ineleggibili. Castro era eleggibile per giocare con noi, o no? World Rugby ha di recente dichiarato che non aprirà un’inchiesta a riguardo, ma di certo il dubbio rimane e non fa che alimentare le invidie di federazioni come Spagna, Romania e Belgio che proprio a causa di queste regole hanno perso traguardi importanti. La sensazione che potessero “toglierci” Castro è stata una sensazione brutta, uno spiacevole freddo alla schiena arrivato in un caldo giorno d’estate, inaspettatamente. Si tratta di uno dei giocatori più iconici della nostra storia e di quella dei club più vincenti dell’ultima decade come i Leicester Tigers e il Tolone dei miracoli, un vero e proprio patrimonio del nostro sport. Anche solo il pensiero di perderne il contributo alla storia del nostro rugby, dunque, è come un pugno nello stomaco. Per curare questo malessere, ho dunque deciso di radunare tutto ciò che era possibile radunare su Martin Castrogiovanni e il suo contributo al rugby italiano ed europeo.

Occhio a quei tre.

L’arrivo in Italia e l’interesse di molti

Me recibieron como un hijo. […] Imaginate, en el Mundial ’99 miraba el Haka por televisión y ahora los tenía ahí, enfrente.

Martin Castrogiovanni, per Rugbychampagneweb

Castro inizia a giocare a rugby tardi rispetto agli standard di oggi, 17 anni. Non ci mette molto tempo ad attirare le attenzioni degli scout internazionali, ed ecco che nel 2001, appena 19-enne, approda in Italia a Calvisano, dopo soli 4 anni dalla prima palla toccata. È proprio in questo primo anno che Castro diventa l’oggetto del desiderio di Italia ed Argentina a livello giovanile. John Kirwan, allora allenatore degli azzurri, accortosi del potenziale del ragazzo decise di provare a portarlo in azzurro prima che se ne accorgessero i Pumas. Peccato che anche questi ultimi avessero fatto lo stesso ragionamento, e Castro si trovò a dover gestire le avances provenienti da entrambi i fronti, con la paura di offendere ciascuna delle due parti. Infine scelse l’Italia, per nostra fortuna, ma possiamo immaginare la difficoltà. A Calvisano venne accolto bene grazie alla presenza di alcuni conterranei e trovò terreno fertile in cui farsi notare in un campionato Italiano allora abbastanza di livello. Fa infatti un certo effetto leggere la formazione di Calvisano di quegli anni, con molti nomi oggi ancora di prima fascia nel rugby italiano: Giampiero De Carli, Andrea De Rossi, Paul Griffen solo per dirne alcuni. La squadra era allenata da Craig Green, che l’anno dopo andò a Treviso e ci restò un quinquennio. A Calvisano, Castro rimase fino al 2006 riuscendo anche nell’impresa di vincere lo storico primo scudetto del club lombardo nel 2005, dopo ben quattro finali perse. Nel 2002 arrivò anche l’esordio in azzurro, a Hamilton in Nuova Zelanda, nella stessa partita in cui esordì anche Sergio Parisse. Sotto la guida di Kirwan in nazionale, Castro apprese molte delle dark arts della mischia che per sua stessa ammissione gli mancavano, grazie ad una educazione personalizzata curata da Franco Properzi. La cosa interessante è che al tempo Properzi era assistente allenatore al Benetton Treviso e non della Nazionale, con la quale aveva appena finito di giocare, segno questo di una grande collaborazione fra diverse entità rugbistiche anche prima delle franchigie e dell’esperienza celtica.

Castro con la maglia del Calvisano nel quinquennio 2001-2006. Senza la barba non sembra nemmeno lui.

Gli anni d’oro a Leicester

La vida es como una pelota de rugby: no sabés nunca para dónde va a ir. Hay que acostumbrarse y tirarse arriba de ella. No esperar que pare de picar, sino, no la frenás más.

Martin Castrogiovanni, per Rugbychampagneweb

L’Italia del 2005/2006 era piena di giocatori espatriati, fra Racing Metro, Stade Français, Gloucester, Saracens, e altre squadre importanti. Emigrare era la norma per i migliori, non l’eccezione. Nel 2006, i Leicester Tigers erano probabilmente il club più forte d’Europa. Forti di varie Premiership vinte negli anni prima e di una cultura vincente ormai ben avviata, il club inglese mise gli occhi su questo pilone italo-argentino capace addirittura di siglare una tripletta contro il Giappone qualche anno prima. Per il movimento italiano significò molto: uno dei suoi giocatori più importanti si accasava in una delle squadre più forti della decade corrente, con la possibilità di confrontarsi con uno dei campionati più importanti. Nei 7 anni di Castro a Leicester, grazie alle sue prestazioni con la maglia azzurra la sua popolarità in Italia crebbe a dismisura, rendendolo in assoluto il rugbista più conosciuto del paese. Talmente tanto, che Edison lo utilizzò nel 2012 per uno spot a sostegno degli atleti italiani alle olimpiadi di Londra 2012, dove il rugby a sette non figurava ancora fra le discipline. Dobbiamo ricordarci che il rugby è uno sport più di nicchia rispetto a calcio, basket, ciclismo e pallavolo in Italia. Dunque, un rappresentante della nazionale cercato dai media per uno spot olimpico significava tanto, perché significava che il personaggio era conosciuto e ci si poteva investire. In quei 7 anni Castro sollevò quattro volte la Premiership con le tigri. “In his first season in the Guinness Premiership, Martin has been a rock for Leicester in what may yet be the most successful season in the club’s history”, si leggeva di lui, tanto che alla fine della sua prima stagione in terra d’Albione Castro vinse anche il premio di miglior giocatore del campionato, secondo straniero di sempre a riuscirci. Il suo attaccamento alla maglia italiana era sempre più grande, nonostante le origini argentine, e questo fu motivo di un certo imbarazzo in alcuni test match contro l’albiceleste. Per non mancare di rispetto alla sua terra natìa, Castro scelse di non cantare l’inno italiano e di fissare il prato. Una scelta fatta per sentirsi a posto con la coscienza, ma che non tutti digerirono all’epoca. Castro però non si piegò al volere del pubblico e persistette con la sua scelta, sicuro del fatto che il tempo è galantuomo.

Lo spot di Edison del 2012.

L’arrivo in Francia

Creo que tiene mucho más valor darle la camiseta al que ama este deporte y viene a verte, que hacer un cuadro y decir yo gané esto o lo otro”.

Martin Castrogiovanni, per Rugbychampagneweb

Nel 2013, dopo sette anni in Inghilterra, Castro si trasferì a Tolone. Quel Tolone non era una squadra com le altre, ma una vera e propria collezione di figurine. Martin Castrogiovanni, Bakkies Botha, Steffon e Delon Armitage, Johnny Wilkinson, Matt Giteau, e tanti altri, a comporre una rosa invidiabile per qualsiasi club europeo. Quel Tolone, allenato da Bernard Laporte, aveva vinto la Heineken Cup l’anno prima (2012/2013) e salì altre due volte di fila sul tetto d’Europa (2013/2014 e 2014/2015). L’ormai 32-enne Castro contribuì e non poco a queste vittorie, ma furono soprattutto quelle ottenute al Sei Nazioni a convincere la platea di appassionati italiana. Più in generale, nel decennio fra il 2006 e il 2016 l’Italia si guadagnò il rispetto internazionale con delle vittorie importanti al Sei Nazioni, anche grazie a Castro e ad una mischia temibile. Nel 2013, ad esempio, l’Italia vinse due partite concludendo il torneo al quarto posto sopra Irlanda e Francia. Contro la Francia, nella vittoria per 23-18, Castro partecipò con una meta nel secondo tempo, mentre non potè partecipare alla vittoria contro l’Irlanda a causa di un infortunio subito nel primo tempo contro l’Inghilterra. La seconda metà dell’esperienza francese di Castro ebbe luogo a Parigi, sponda Racing 92, nella stagione 2015/2016. Gli allora rivali del Tolone per il titolo di campioni di Francia si assicurarono le prestazioni del pilone italo-argentino in una mossa di mercato che non passò inosservata al sensibile pubblico d’oltralpe. Il Racing, squadra con la nomèa da spendacciona, creò una squadra per cercare di vincere tutto acquisendo Castro dal Tolone assieme ad altri innesti. Perse la finale di Heineken Cup contro i Saracens per 9-26 mentre vinse il titolo di campione di Francia in una finale incredibile giocata al Camp Nou di Barcellona e vinta 21-29 davanti a 90,000 spettatori. In quella finale, però, Castro non giocò. Il motivo? Durante le semifinali di Heineken Cup, Castro fu beccato a Las Vegas in compagnia di Zlatan Ibrahimovic e altri giocatori del PSG, mentre il club lo credeva in Argentina ad attendere ad alcuni affari di famiglia. Quello fu il suo ultimo anno di carriera, e forse non il miglior modo di congedarsi dai grandi palcoscenici della palla ovale. Ma per uno come Castro, sincero anche nei sentimenti, c’è di più di quanto si è detto, anche se non ha mai avuto l’occasione di spiegare davvero la sua versione dei fatti.

La foto che incriminò Castrogiovanni agli occhi della dirigenza del Racing 92, la quale ne stracciò il contratto in essere.

Gli ultimi anni e il presente

“Nunca jugué al rugby por los números. Tuve la suerte de ganar muchas cosas, jugar en grandes equipos. Pero la verdad nunca lo viví como un tema personal.”

Martin Castrogiovanni, per Rugbychampagneweb

Martin Castrogiovanni si ritirò dal rugby internazionale, e poco più tardi da quello giocato in toto, alla fine del Sei Nazioni 2016 in una partita persa malissimo contro il Galles. Pianse come un bambino durante l’inno nazionale, capendo che si trattava della fine di qualcosa di grande, e dell’inizio di un inedito capitolo della sua vita finora dettata da allenamenti, partite e briefing. Da allora si è stabilito a Roma, e nel 2020 si è anche sposato. Ha intrapreso due strade: una mediatica, diventando conduttore di Tu Si Que Vales, e una rugbistica, con la Castro Academy. Come ha detto lui stesso a Allrugby Podcast, la dimensione che più gli piace del rugby è quella in cui riesce a trasmettere la passione ai bambini. Gli importa meno di educare i grandi atleti e i professionisti, vuole incidere sui più piccoli creando in loro il sogno di giocare un giorno per la nazionale. Punzecchiato a riguardo da Gianluca Barca nel podcast, Castro ha rivelato la sua felicità quotidiana nel vedere dei bambini appassionarsi al rugby e sapere che è merito suo. Dopo una carriera nelle squadre più vincenti d’Europa, più di 100 caps con l’Italia, tanti e tanti Sei Nazioni, Castro sembra aver trovato la sua dimensione in qualcosa di meno appariscente, ma più crudo e vero. D’altronde non dobbiamo diventare tutti allenatori della Nazionale, qualcuno deve anche assicurarsi che ci siano nuovi atleti da allenare. Questo qualcuno, da almeno 20 anni, è Martin Castrogiovanni, che ha fatto amare il rugby a varie generazioni di appassionati, sia direttamente che indirettamente, senza mai perdere l’umiltà che contraddistingue i grandi uomini.

Autore

  • Matteo Schiavinato

    Sono laureato in Biologia Molecolare a Padova, ho un Dottorato in Bioinformatica a Vienna, lavoro in Università a Barcellona e mi chiedo tutti i giorni se non dovevo fare l'ISEF quella volta e studiare sport. Nel tempo libero dal lavoro mi vesto di biancoverde, conduco il podcast "Leoni Fuori", scrivo articoli sul rugby, suono vari strumenti musicali e scrivo di film d'azione.

3 pensieri riguardo “Cos’ha significato Martin Castrogiovanni per l’Italia

  1. Il problema non è Castrogiovanni. Ci sono tanti: Dellapè, Pez, Del Fava, Garcia, Canale, Orquera, Padrò, Pizarro, Di Bernardo… Tutti hanno parlato di bisnonni italiani e tutti erano eleggibili? Sarebbe miracoloso.

  2. Castrogiovanni, un professionista che si è giustamente venduto al miglior offerente… non parliamo di sentimenti…

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